Cavalli nella storia. Gli equini accompagnano la vita dell’uomo fin dall’antichità; nel corso della storia, la loro maestosità e prestanza fisica combinate con il carattere mansueto, hanno contribuito alla evoluzione dell’uomo e della società. In questo primo articolo parleremo di alcuni cavalli che si sono distinti nella storia, nella letteratura e nella mitologia.
Bucefalo, il cavallo di Alessandro Magno
Bucefalo fu il famoso cavallo che accompagnò Alessandro Magno nelle sue epiche battaglie. Pare che fosse della migliore razza tessalica, più precisamente un Akhal-Teke, una delle più belle e antiche razze equine discendenti dal cavallo turcomanno, famosa per il manto dorato.
Il nome significa “testa di toro”, datogli per la sua stazza: fronte larga, muso concavo e narici distanti. Il manto di Bucefalo era di un meraviglioso nero, con una stella bianca sulla fronte, e gli occhi di colore diverso (uno era azzurro) contribuivano alla sua unicità.
Gli storici raccontano che fu il padre di Alessandro, Filippo il Macedone, ad acquistare Bucefalo ad una cifra molto alta per l’epoca; tuttavia, nessuno riuscì a domarlo tranne il giovanissimo Alessandro, che ad appena 10 anni notò con intelligenza che Bucefalo era terrorizzato dalla sua stessa ombra. Dopo aver rivolto il suo muso verso il sole, fu in grado di fargli passare la paura e cavalcarlo. La leggenda narra che nacquero lo stesso giorno, a dieci anni di distanza l’uno dall’altro.
Bucefalo e Alessandro combatterono battaglie per vent’anni, fino ai confini dell’India, dove trovò la morte nella battaglia dell’Idaspe, nel 326 a.C. Nonostante le ferite mortali, Bucefalo non si arrese, e usò tutte le sue forze per portare Alessandro Magno alla vittoria. Venne seppellito con tutti gli onori nel territorio che oggi corrisponde al Pakistan, e in suo onore nacque la città di Alessandria Bucefala.
Marengo, il cavallo di Napoleone
Non si può parlare di cavalli nella storia senza menzionare Marengo, il cavallo di Napoleone Bonaparte. La passione per i cavalli di Napoleone è nota: la sua scuderia personale ne contava 52, ma Marengo era senza dubbio il suo prediletto. Visse tra il 1793 e il 1831, e fu al fianco dell’imperatore durante sue battaglie più importanti, tra cui Austerlitz, Jena, Wagram e Waterloo, ferendosi ben otto volte. Napoleone decise di chiamarlo così in onore della Battaglia di Marengo, vinta dai francesi.
Marengo arrivò in Francia dall’Egitto: era un magnifico arabo alto 1,50 al garrese, perfetto per Napoleone, che era di bassa statura. Era un cavallo molto veloce, e riusciva a completare i 120km che separavano Valladolid da Burgos in appena cinque ore. Purtroppo la sconfitta di Waterloo separò per sempre Napoleone dal suo destriero: il cavallo venne catturato dagli Inglesi e riportato in patria come bottino di guerra. Per questo motivo il suo scheletro è oggi conservato in un museo di Chelsea, a Londra.
Austurcone, il cavallo di Giulio Cesare
Asturcone è uno dei cavalli nella storia che più si è distinto ai tempi dell’impero romano. Originario delle Asturie, era un cavallo poderoso e forte, ma allo stesso tempo docile e ubbidiente: perfetto per Giulio Cesare, che necessitava di un cavallo coraggioso, impetuoso e mansueto allo stesso tempo.
Nelle “Vite dei Cesari”, Svetonio narra che Asturcone aveva delle caratteristiche uniche, come lo zoccolo fesso, improbabile caratteristica per un cavallo. Inoltre, una profezia degli aruspici dichiarò che chiunque lo avesse cavalcato sarebbe diventato signore del mondo.
Asturcone accompagnò Giulio Cesare nella campagna delle Gallie e nella famosa battaglia del Rubicone; alla sua morte, Cesare gli dedicò una statua di fronte al tempio di Venere Genitrice.
Palomo, il cavallo di Simon Bolivar
Palomo, il cavallo del liberatore Simón Bolívar, è sicuramente uno dei più famosi cavalli nella storia del Sud America. Era un cavallo alto e grigio (da cui il nome, Palomo, che significa “piccione”), con una coda che toccava quasi terra. Secondo i racconti della tradizione locale, Bolívar visitò il villaggio nel 1814, a cavallo di una stanca bestia da soma che si rifiutava di andare oltre.
Lì chiese una guida, per prendere l’animale e condurlo in città. Durante la passeggiata, la guida raccontò a Bolívar dei sogni di sua moglie Casilda, soffermandosi su uno in particolare in cui la donna regalava un puledro appena nato a un famoso generale. La guida non sapeva chi fosse Bolívar, e si stupì molto quando il condottiero gli rivelò la sua identità. Arrivato ai margini della città, Bolívar sorrise e disse alla guida: “Di’ a Casilda di tenere il puledro per me”. Cinque anni dopo tornò, e ricevette il puledro promesso da Casilda nel bel mezzo della battaglia di Boyacá. Lo chiamò Palomo, per il suo colore grigio. I ferri di cavallo di Palomo sono esposti nel Museo del Mulaló, in Colombia.
Babieca, il cavallo di El Cid
Rodriago Diaz de Bivar, meglio conosciuto come El Cid Campeador, guidò la riconquista della penisola iberica, ponendo fine a secoli di occupazione da parte dei mori. La famosa epopea Cantar de mio Cid, risalente al XII secolo, celebra le sue gesta e quelle del suo cavallo Babieca, che lo accompagnò in battaglia per trent’anni.
Il padrino di El Cid era un prete chiamato Peyre Pringos. Secondo la tradizione, i monasteri spagnoli erano dediti anche all’allevamento dei cavalli: Peyre Pringos decise dunque di donarne uno a El Cid, che scelse il più immaturo e meno vistoso, tanto da far scappare al prete un’imprecazione – “Babieca”, “Stupido!”. Fu proprio così che il condottiero scelse il nome per il suo compagno di avventure, che al contrario di quanto si credeva, si distinse subito per la sua agilità e velocità.
El Cid morì durante l’assedio di Valencia del 1099. Per non far trapelare la notizia al nemico, i soldati decisero di armare il corpo senza vita del condottiero e legarlo in sella a Babieca. A mezzanotte l’esercitò raggiunse il campo di battaglia, e grazie ad una “luce soprannaturale”, l’apparizione spettrale del Cid con l’armatura scintillante e il cavallo bianchissimo terrorizzò i mori e li portò alla fuga.
Pegaso, il cavallo alato di Zeus
Andando ancora più indietro nella storia, approdiamo nel mondo della mitologia greca. Qui troviamo Pegaso, il famoso cavallo alato di Zeus, re dell’Olimpo. Senza dubbio uno dei più iconici cavalli nella storia.
Il mito racconta che Pegaso nacque dal sangue versato dal collo di Medusa durante la lotta con Perseo. Inizialmente Zeus utilizzava lo stallone bianco per trasportare i fulmini dalle fucine di Efesto al monte Olimpo.
Pegaso sarà di grande aiuto a Bellerofonte, che dopo averlo addomesticato con i finimenti ricevuti in dono da Atena, sconfiggerà la spaventosa Chimera, per poi morire proprio cadendo dalla sella del suo destriero. Il destriero ritorna così tra gli dei, trasformandosi in una nube di stelle: la famosa costellazione di Pegaso.
Marsala, la cavalla di Giuseppe Garibaldi
Marsala è senza dubbio la cavalla più famosa d’Italia: Giuseppe Garibaldi diresse con lei la spedizione dei Mille, partendo dal regno delle due Sicilie.
Garibaldi era un grande amante degli animali: la sua fattoria contava centinaia di bovini, capre, maiali, asinelli, cani e gatti. Non è un caso dunque se fu il co-fondatore della Società protettrice degli animali, l’attuale Enpa.
Fu il Marchese Angileri a regalare Marsala a Garibaldi, che prende il nome dall’omonima spiaggia siciliana in cui avvenne lo scambio. Dopo essere entrato con lei a Palermo il 27 maggio 1860, Garibaldi la porta con sé a Caprera, e non se ne separerà fino alla sua morte, avvenuta a 30 anni nel 1876. Sono entrambi seppelliti nel giardino di casa del condottiero.
Il cavallo di Troia
Anche se si tratta di un cavallo “finto” e leggendario, il cavallo di Troia resta uno dei più famosi della storia. Dopo averlo costruito sotto suggerimento dell’astuto Ulisse, i greci lo offrirono in dono ai Troiani come simbolo di finta resa. Una volta portato dentro le mura della città i soldati greci, nascosti nel ventre cavo del cavallo, uscirono nella notte, sconfiggendo definitivamente i troiani e ponendo fine ad una guerra durata dieci anni.
Ronzinante, il famoso cavallo di Don Chisciotte
Ronzinante è il cavallo di Don Chisciotte, l’eroe dell’omonimo romanzo di Miguel de Cervantes. Protagonista dell’opera è Don Chisciotte della Mancia, squattrinato hidalgo e grande sognatore che, accompagnato dal suo scudiero Sancio Panza, decise, ispirato dalle avventure dei romanzi cavallereschi, di diventare cavaliere e partire in cerca di avventure. Il nome del suo destriero deriva da “ronzino”, termine utilizzato per indicare cavalli meticci e non di razza, e fu scelto dal cavaliere perché gli sembarva un nome “maestoso”.
Nonostante Ronzinante fosse un cavallo dalla cattiva conformazione, Don Chisciotte lo considerava alla pari dei destrieri dei grandi condottieri. Più che per il suo aspetto o la sua stirpe, Rocinante è riconosciuto per la sua incomparabile lealtà.
Copenhagen, il cavallo del Duca di Wellington
Copenhagen è passato alla storia per essere stato il cavallo con cui il Duca di Wellington sconfisse Napoleone durante la battaglia di Waterloo, nel 1815. Di razza anglo-araba, fu chiamato così in onore della seconda battaglia di Copenhagen, combattuta e vinta dagli inglesi nel 1807. Dopo un breve periodo come cavallo da corsa, fu venduto nel 1813 al Duca di Wellington. Copenhagen era un cavallo comunicatore: era solito salutare le truppe con dei sonori nitriti e calciando all’aria.
Il giorno prima della battaglia, il Duca di Wellington lo cavalcò ininterrottamente per dodici ore; il fatidico 18 giugno, Copenhagen resse per 15 ore, al termine delle quali aveva ancora abbastanza energia per calciare (affettuosamente) il suo padrone. Copenhagen morì il 12 febbraio 1836, all’età di 28 anni; fu sepolto nel parco del castello di Stratfield Save House. La sua lapide recita: “Il più umile strumento di Dio, per quanto infima argilla, dovrebbe condividere la gloria di quel giorno glorioso”. Di lui, il Duca scrisse: “Ci saranno cavalli più veloci e indubbiamente più belli, ma in quanto a resistenza non ne ho mai visti di simili!”
Incitatus, il cavallo di Caligola
Temuto e allo stesso tempo deriso, l’imperatore Caligola (37-41 d.C) è passato alla storia come uno dei sovrani più tiranni e dispotici della storia dell’impero romano. Caligola era particolarmente appassionato di eventi equestri, in particolare le corse dei carri che si tenevano al Circo Massimo. Al tempo i cavalli venivano utilizzati moltissimo, sia in battaglia che per le competizioni sportive, ed erano simbolo di potenza e nobiltà.
Le scuderie che si sfidavano a Roma al tempo di Caligola erano quattro, e la scuderia dei Verdi era la sua preferita. In particolare, Caligola era molto affezionato al cavallo Incitatus, che viziava moltissimo: la sua scuderia era di marmo e la sua mangiatoia era d’avorio. Incitatus aveva inoltre una schiera di servitori a sua disposizione. Caligola amava condividere la cena con Incitatus, e faceva servire il cibo in brocche d’oro massiccio.
Secondo gli storici, pare che Caligola nominò Incitatus console, per schernire la suprema magistratura di Roma; la nomina non durò a lungo, perché l’imperatore fu assassinato in una congiura di palazzo.